Venti anni in carcere per capire che il bene è l‘unica cosa che conta
Dopo il nostro primo articolo abbiamo pensato a cosa fosse bello potere raccontare; abbiamo deciso di scrivere su un detenuto che ha trascorso più di venti anni in carcere e che oggi, grazie all’impegno che il centro dedica agli “emarginati”, grazie alla fiducia accordata dal Magistrato di Sorveglianza e dal Direttore del carcere di Agrigento, ha potuto trascorrere tre giorni presso una delle strutture gestite dal centro.
Noi crediamo che questa sia una vittoria per lo Stato, noi crediamo che sia giusto dare una possibilità a chi nella vita ha sbagliato, darla ovviamente a chi del suo sbaglio ha imparato e ha deciso che cambiare vita ne vale davvero la pena.
È chiaro che non ci mettiamo a giustificare i reati, per noi sono tutti da condannare indistintamente e vorremmo occuparci dei detenuti dal momento in cui iniziano a scontare la propria pena.
Sarebbe dovere di ogni cittadino preoccuparsi se davvero lo Stato rispetti quello che la nostra Costituzione detta, se davvero l’art 27 viene rispettato e viene data la possibilità ad ognuno di reinserirsi nella società conscio dei propri sbagli.
Chi conosce bene l’ambiente carcerario, sa purtroppo, che spesso vengono calpestati anche i più elementari diritti umani; più volte la Corte Europea ha condannato il nostro Paese perché ha obbligato molti detenuti a vivere in condizioni inumane e degradanti, ma non è questo il tema su cui oggi vorremmo confrontarci, vogliamo raccontarvi la storia di (Nazareth); il nome è di fantasia e racconta lo spaccato di vita di un uomo nato e cresciuto in ambienti dove era naturale delinquere fin dalla giovane età, i primi reati di Nazareth risalgono infatti all’età di 13 anni.
Ovvio che davanti a un reato non ci deve essere giustificazione alcuna, vorremmo però dire che lo Stato dovrebbe essere più presente in determinate zone, perché siamo convinti che diffondendo la cultura del sapere ad ogni livello molti ragazzi avrebbero potuto salvarsi e molti altri potrebbero essere salvati dalle grinfie del malaffare, del crimine, dall’idea che la sopraffazione sia cosa giusta.
Crediamo che i tre giorni di permesso accordati a Nazareth siano una vittoria per lo Stato, una vittoria perché lo scopo unico dell’esecuzione penale deve essere quello di rieducare i detenuti e reinserirli nella società civile.
Raccontare una storia del genere, in prossimità del Santo Natale è davvero emozionante, perché etimologicamente natale significa nascita; io non conosco i pensieri di Nazareth; non so cosa ha provato, posso immaginare la sua felicità, immagino che abbia assaporato il profumo degli alberi, sentirsi arrivare l’aria fresca in viso, il calore del sole, alla paura di accostarsi al cancello che tracciava la linea di confine tra la struttura che lo ospitava e la strada e immagino che abbia pensato che nessuna cosa vale quanto la libertà da poterla gustare senza paura.
Sento di dovere ringraziare tutti coloro che hanno permesso di donare speranza a un uomo, speranza che in prossimità del santo Natale sa davvero di Ri-Nascita, rinascita di un uomo che ha pagato per i suoi sbagli con la libertà; credo che questo sia il pensiero di Nazareth e che mi permetto sommessamente di farlo conoscere perché un uomo in carcere è un uomo che non ha libertà, ma non ha neanche qualcuno che dia voce ai suoi pensieri, un uomo in carcere è solitudine.