In queste ultime settimane, ascoltando la tv o leggendo i giornali, mi sono accorto che uno dei termini più utilizzati è stato umanità. Mi sono chiesto, allora, se davvero ne conosciamo a fondo il significato, se sappiamo ancora distinguere l’umano dall’artificiale e, soprattutto se i “nativi digitali” riescano ad attribuire un senso autentico a questa parola.
Gran parte di questo anno abbiamo dovuto convivere con il COVID, oramai la nostra quotidianità viene condizionata dalle limitazioni o dalla paura dei contagi, eppure rimbomba sempre la parola umanità; umanità per chi viene contagiato, i loro familiari, i medici, gli infermieri; umanità (non riscontrata nella realtà) per i detenuti, per la penitenziaria. In pratica sentiamo invocare umanità anche se i più sconoscono il vero significato.
Secondo il vocabolario Treccani la parola umanità non è altro che “la condizione umana, soprattutto con riferimento alle caratteristiche, alle qualità, ai vantaggi: la fragilità, la debolezza, i difetti, l’imperfezione”. L’umanità è un sentimento, quello che sottende alla solidarietà reciproca, di comprensione e indulgenza verso l’altro.
Come tutti i sentimenti, può essere sviluppato attraverso l’educazione. Essere umani vuol dire superare quei comportamenti che ci riducono molto simili a dei robot; la società in cui viviamo, basata sulla competizione e sulla prestazione ci rende vulnerabili e poco inclini ad accettare gli errori, i difetti, le storture, le frustrazioni, le imperfezioni fisiche, tutto ciò che risulta “diverso dalla norma”, tutto ciò che definisce un uomo o una donna.
I più quindi, pensando alla parola umanità, si soffermeranno alla superficie piuttosto che sul vero significato; noi invece, operatori dell’associazione ODV San Giuseppe Maria Tomasi, vogliamo cogliere il significato che ci suggerisce la Treccani e operare quindi verso i più deboli, verso gli emarginati, detenuti, ex detenuti, gente senza una casa. porgiamo la mano ai migranti con l’ambizione di strappargli un sorriso e farli sentire in casa loro dopo anni di soprusi, torture e indifferenza mondiale. A loro rivolgiamo la nostra “umanità”.
Secondo Edgar Morin, sociologo e filosofo, il grande male non è tanto l’incomunicabilità, quanto l’incomprensione, l’indifferenza, l’egoismo non solamente tra cittadini di una stessa società, ma anche nei confronti dello straniero, del diverso da noi.
All’educazione, quindi, si chiede di partire non solo dalle competenze richieste dal mondo lavorativo e professionale, ma anche e soprattutto dalle competenze esistenziali. Il compito del processo di formazione diventa fondamentale se offre una comprensione umana, che richiede apertura verso l’altro. Partire dal riconoscimento empatico dell’altro, che appare diverso da noi, ci consegna strumenti forti per combattere razzismo, xenofobia, ma anche pregiudizi di genere e bullismo. La comprensione richiede ascolto, permette una partecipazione emotiva al sentire dell’altro, permette di calarsi in un contesto sempre nuovo con capacità di adattamento incredibili. La comprensione permette di tenere lontano il rifiuto degli altri, perché comprendere significa entrare in relazione, creare un legame, un filo impercettibile fatto di scambio reciproco e di confronto.
Preparare un mondo vivibile si può, lavorando con le future generazioni, infondendo il senso di cittadinanza terrestre, quella che ci vede tutti cittadini dello stesso pianeta, quella che ci rende appartenenti ad un’unica sola e grande razza, quella umana. L’umanità si può imparare, si può vivere nella quotidianità, si può insegnare attraverso un’educazione attenta all’affettività, alle emozioni, all’empatia, al confronto, alla
comprensione, alla resilienza. L’umanità è il sentimento universalmente riconosciuto, che identifica ognuno di noi, che ci rende simili, assomiglianti, vicini, solidali, uniti. Umani, insomma.
Don Vito Scilabra
Carmelo Vetro